3 maggio. Un giorno come tanti, ma non quest’anno. Da Pisa a Palermo, da Genova a Roma passando per Napoli, Milano e molte altre città italiane, migliaia di professionisti del SSN e cittadini che hanno sentito il dovere di esserci, in contemporanea, dando vita a una fiaccolata silenziosa in memoria di Barbara Capovani, psichiatra di 55 anni, uccisa sul lavoro da un suo paziente. Una grande prova di affetto, solidarietà, orgoglio di categorie professionali che hanno inteso richiamare l’attenzione della politica sulle criticità dei servizi di salute mentale, sul ripetersi delle aggressioni agli operatori sanitari, specie se donne, specie in ambito psichiatrico ed emergenziale, e sulla crisi della sanità pubblica. Morire per il lavoro e sul lavoro è inaccettabile e sottolinea l’urgenza di norme efficaci sulla sicurezza all’interno di strutture sanitarie diventate teatri di episodi di violenza che si ripetono al ritmo di 4 al giorno. L’Italia è il paese dell’OECD dove la tutela della salute assorbe la minore spesa globale. I tagli di risorse e personale degli ultimi 2 decenni, sommati agli effetti della pandemia, hanno peggiorato lo stato di salute del Paese, riducendo allo stremo i servizi sanitari pubblici che fanno sempre più fatica a rispondere e intercettare i bisogni dei pazienti. I cittadini vivono gli esasperanti tempi di attesa come negazione del loro diritto alla salute, mentre i professionisti rimangono soli, in prima linea, a gestire la forbice tra domande crescenti e risorse decrescenti, rischiando ogni giorno la vita, con l’obiettivo di tornare a casa, dopo ogni turno, indenni. Ma, “il rilancio della sanità pubblica passa dalla valorizzazione del personale” come afferma il ministro Schillaci, cui assicurare salari adeguati e condizioni di lavoro umane. Il Ssn non è un diritto naturale e può liquefarsi se non viene difeso. Curarsi nel pubblico è diventato un incubo. Siamo di fronte a un processo di consunzione che prepara il fallimento de facto della sanità pubblica, con sviluppo incontrollato della sanità privata e crescita delle diseguaglianze, con i ricchi che potranno scegliere ed i poveri nelle liste di attesa. E il ricorso al precariato e alle esternalizzazioni come ordinario sistema di reclutamento del personale, con conseguente svuotamento dei contratti e degli accordi di lavoro.
La sorte della sanità pubblica non è solo questione sindacale, ma anche sociale e politica. Tocca al Governo, e al suo Capo, dire ai cittadini e ai professionisti sanitari italiani se è a favore di un servizio sanitario pubblico e nazionale, come modello di tutela della salute, o contro.
Noi continueremo a difendere un servizio sanitario pubblico, nazionale e universalistico, promuovendo con i cittadini, le associazioni di pazienti, le rappresentanze professionali una mobilitazione generale sottolineando con forza che siamo dalla parte della sanità pubblica, della salute pubblica.
Ci mobilitiamo per difendere l’articolo 32 della nostra Costituzione.
Un filo ideale che unisca le fiaccolate del 3 maggio a iniziative regionali fino a una manifestazione nazionale a Roma, senza escludere azioni sindacali fino allo sciopero perché siamo all’ultima chiamata. “Operare per il rafforzamento del Servizio Sanitario Nazionale, presidio insostituibile di unità del Paese”, questa l’esortazione del Presidente Mattarella.
Noi abbiamo bene in mente queste parole. E il Capo del Governo, come pensa di invertire la rotta che ci sta portando al disastro?
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